Riprendiamo questo interessante articolo dal sito nazionale:
Il 5 marzo la Fiat-Chrysler di Marchionne ha sottoscritto un accordo (peraltro compilato sotto la dettatura dell’azienda) con i soliti sindacati collaborazionisti (Fim, Uilm, Fismic, Ugl) con il quale i turni settimanali della fabbrica SATA di Melfi vengono portati a 20, intensificando ulteriormente lo sfruttamento dei 7.000 lavoratori vessati da un’organizzazione del lavoro già estremamente stressante.
Si dovrà lavorare alla catena, dunque, anche il sabato e la domenica, in cambio di una misera gratifica di poche decine di euro. Si lavorerà a ritmo continuo per circa 160 delle 168 ore della settimana fermando macchine e uomini solo la domenica mattina (dedicata alla manutenzione).
Basti pensare che i ritmi saranno questi: ad esempio per un operaio che ha fatto il mattino per sei giorni e finisce il turno il sabato alle 14 dovrà passare al turno di notte riprendendo il lavoro alle 22 di domenica e fare sei notti smontando all’alba del sabato successivo.
La “turnistica” sarà molto complessa e funzionerà così: 4 giorni di lavoro la prima settimana, 6 giorni la successiva, 4 giorni (usando i permessi) la terza settimana; 5 giorni la quarta con una domenica. Niente week end ma tre giorni di riposo consecutivi due volte al mese.
Con questo sistema Marchionne riuscirà ad incrementare la produzione di oltre il 15%. A regime dovrebbero essere prodotte circa 300.000 vetture l’anno. Grazie a questa nuova organizzazione del lavoro, la FCA intende produrre a Melfi la Jeep Renegade, quella di cui sono zeppe le pause pubblicitarie di tutte le Tv, con un arrogante spot tutto in inglese.
I sindacati gialli cantano vittoria perché millantano il risultato della assunzione “stabile” di un migliaio di lavoratori interinali con cui la FCA sottoscriverà contratti “a tutele crescenti” (in base alle norme del Jobs Act), contratti che, anche se sembra paradossale, renderanno questi lavoratori ancor più precari e ricattabili da parte dell’azienda. Peraltro di fronte ai nuovi ritmi di lavoro sono numerosi i giovani lavoratori che non riescono a tenere il passo e che rinunciano e si dimettono. E il paradosso non finisce qua. Mentre a Melfi i lavoratori vengono costretti a ritmi e a orari di lavoro crescenti, sono migliaia le persone in cerca di lavoro in una provincia come quella di Potenza che ha un tasso di disoccupazione più alto della media nazionale.
I lavoratori SATA, nei giorni scorsi, nel corso delle assemblee, hanno respinto l’accordo, ritenendo inaccettabile l’incremento dei ritmi in una fabbrica che già vanta livelli di sfruttamento record.
Un fatto incontrovertibile (il plebiscito contro l’accordo è stato testimoniato anche dai giornalisti che hanno assistito alle assemblee), ma nessuno sembra farsi carico del problema.
Naturalmente né i sindacato firmatari, né tantomeno l’azienda ritengono rilevante questo dato. Ma anche la Fiom, che pure non ha sottoscritto l’accordo (non era ammessa alla trattativa, secondo il personale codice sindacale dettato da Marchionne) e lo ha criticato, si è dissociata dall’azione di sciopero indetta da un certo numero di delegati. Non va trascurato che molti di questi delegati sono iscritti al sindacato di Landini, alcuni sono stati protagonisti della lotta “dei 21 giorni” del 2004, altri sono noti anche per essere stati tre anni fa oggetto di un licenziamento per rappresaglia poi annullato dal giudice.
Questi delegati stanno comunque scioperando contro il lavoro festivo ogni sabato e domenica. Per sabato prossimo (il 14 marzo) è stato organizzato un presidio in sostegno dell’azione di sciopero di delegati e operai.
Sinistra Anticapitalista sostiene e partecipa al presidio. La lotta degli operai e delle operaie di Melfi è la lotta di tutte/i noi.
Nessun commento:
Posta un commento