martedì 22 ottobre 2013

18 e 19 ottobre, due giornate speciali

(Articolo integrale su anticapitalista.org)

 

 

Decine di migliaia di lavoratrici, di lavoratori, di giovani, di migranti, di militanti dei movimenti per la difesa del territorio hanno pacificamente riempito le strade di Roma nelle due straordinarie giornate di mobilitazione del 18 e 19 ottobre. (...) l’iniziativa di sciopero generale assunta per lo scorso venerdì 18 unitariamente dalle principali organizzazioni del sindacalismo di base (USB, CUB, Cobas) ha travalicato il valore tradizionalmente assunto dallo sciopero autunnale delle organizzazioni “extraconfederali”. Anche i dati “ufficiali” sulla adesione allo sciopero sembrano confermare percentuali significative di astensione dal lavoro in parecchi uffici pubblici, in molti settori della sanità e certamente nei trasporti pubblici, con parecchie città completamente bloccate dall’iniziativa di protesta. Un bel corteo, con tanti lavoratori e lavoratrici, dei settori pubblici e del lavoro privato, migranti, con una grande presenza dell’USB, ma anche con una partecipazione degli aderenti ai Cobas al di là delle previsioni. Contemporaneamente a Milano sfilava il corteo della CUB, con varie migliaia di partecipanti a cui significativamente si sono aggregati tantissimi lavoratori migranti, soprattutto della logistica, organizzati nel SI Cobas.

(...) La giornata del sabato 19 ha visto il progressivo arrivo in piazza di migliaia di manifestanti organizzati dai movimenti per il diritto all’abitare e da quelli per la difesa del territorio (No Tav, in primis, ma anche No Muos, comitati contro gli inceneritori e le discariche, ecc.). La manifestazione del sabato pomeriggio ha avuto un successo straordinario ancor più di quella del giorno precedente. Decine e decine di migliaia di partecipanti (le valutazioni più realistiche oscillano tra i 50 e i 100.000) hanno sfilato per ore in un clima di tensione e di stato d’assedio creato ad arte dalle autorità di pubblica sicurezza e, se possibile, ancor più gonfiato da tutti gli organi di informazione che puntavano sulla ripetizione degli incidenti del 15 ottobre di due anni fa. Nonostante tutto ciò, nonostante una vergognosa provocazione da parte dei fascisti di Casapound messa in atto sotto gli occhi indifferenti di centinaia di poliziotti e di carabinieri, la manifestazione si è svolta senza incidenti né disordini di rilievo, dimostrando la compattezza politica e la determinazione vera dei manifestanti e degli organizzatori.

Gli unici fatti di un qualche rilievo, peraltro, sono accaduti di fronte all’entrata del ministero dell’Economia, quando un drappello di finanzieri ha caricato a freddo il corteo solo perché qualcuno lanciava uova o bottiglie contro un’istituzione che può essere annoverata tra i principali mandanti del massacro sociale che distrugge il futuro di milioni di cittadine e di cittadini. Su questi fatti e contro gli arresti operati in questa occasione pubblichiamo anche un comunicato pervenutoci da compagne/i delle Marche. Il corteo, dopo un lungo tragitto, ha raggiunto il piazzale antistante il ministero delle Infrastrutture, competente sia sulla politica abitativa, sia sulle grandi opere che devastano il territorio. Anche qua il corteo si è trasformato in acampada in attesa che, come promesso, una delegazione del movimento possa incontrarsi con il ministro Lupi per chiedere la risoluzione di tutti questi problemi sociali e ambientali. Mentre scriviamo, l’acampada è ancora in corso (vedi foto).

Ma al di là della cronaca delle due giornate (la cui importanza avevamo già colto nel documento conclusivo della nostra assemblea fondativa del 20-22 settembre), quello che è accaduto segnala un fatto nuovo, una prima importante rottura della pace sociale, in un paese, come l’Italia, contrassegnato finora, nonostante la dura offensiva padronale e governativa, da una preoccupante passività sociale. Decine e decine di migliaia di lavoratrici e di lavoratori, di giovani, di migranti scesi in piazza senza il supporto di apparati sindacali o politici, anzi con il boicottaggio delle Ferrovie cosiddette “dello Stato”, nella ostentata indifferenza di tutto il mondo politico istituzionale, di fronte alla becera ostilità di tutti i principali mass media, in un clima di stato d’assedio e di criminalizzazione, in una città apparentemente deserta, costituiscono un fatto di rilevanza inedita negli ultimi anni. Forse il 15 ottobre del 2011 in  piazza c’erano più persone, ma allora perlomeno il piccolo apparato della Fiom e quello dell’ARCI avevano collaborato per favorire la partecipazione.

Anche la scelta non casuale operata dagli organizzatori del venerdì e da quelli del sabato di effettuare una sorta di “staffetta” tra le due iniziative indica una direzione di lavoro, quella della convergenza unitaria  di tutti quei movimenti sociali che su vari versanti si battono contro l’austerità e le politiche padronali. E in questo fronte unitario, anche grazie allo sciopero del 18, un posto del tutto particolare spetta al movimento delle lavoratrici e dei lavoratori. Perfino la scelta, assunta proprio all’indomani della manifestazione da Camusso, Bonanni e Angeletti, di proclamare scioperi territoriali di protesta contro la legge di stabilità appare evidentemente stimolata dalla preoccupazione degli apparati confederali di tentare di evitare che attorno ai settori più radicali già scesi in piazza sabato possano coagularsi anche altri settori di lavoratrici e di lavoratori colpiti duramente dalla crisi e privati dalla totale passività di Cgil, Cisl e Uil di qualunque occasione di lotta.

Un’altra considerazione politica va fatta rispetto alla manifestazione nazionale che ha preceduto solo di una settimana la due giorni rossa del 18 e 19. Ci riferiamo alla manifestazione “La via maestra” promossa da un appello che aveva come primi firmatari tra l’altro Maurizio Landini e Stefano Rodotà. Sulle ambiguità esplicite e implicite di quell’iniziativa abbiamo già scritto. Occorre però dire che la manifestazione del 19 ha completamente archiviato l’impatto del corteo del 12. E non solo perché ha portato in piazza almeno il doppio delle persone. C’è anche uno spaccato sociale diverso.

Il corteo del 12 ha visto sfilare il popolo dello scontento, il popolo di sinistra orfano dell’antiberlusconismo, sconfitto dalla dilapidazione della forza del movimento operaio e della sinistra, un popolo che viene indotto a sognare un’inversione della pellicola della storia, il ritorno ad un clima di compromesso sociale e di consociativismo politico irriproponibile in questa epoca storica. Il 19 (e già prima il 18) è sceso in piazza un popolo ricco di rabbia e di voglia di futuro, senza illusioni su inesistenti possibilità di interlocuzione con il centrosinistra, con una potenziale consapevolezza nella necessità della azione diretta e dell’autorganizzazione di massa. Quella tra il 12 e il 18-19 non è una banale contrapposizione politica tra moderati e radicali, anche se la compiacenza mostrata da alcuni dei promotori del 12 verso la criminalizzazione dei promotori del 19 non aiuta la possibilità di dialogo tra le due piazze. La necessità è quella di definire un’impostazione politica non subalterna e non ambigua, e le potenzialità per farlo sono presenti nell’iniziativa del 18-19 e non certo in quella del 12.

Questo ovviamente non significa che le decine di migliaia di persone scese in piazza il 12 siano condannate ad un impotente moderatismo. Anzi, occorrerà battersi perché quanto emerge dalle giornate del 18 e 19 possa stimolare una tempestiva riflessione, la capacità di saper rompere con le illusioni vagheggiate dai vertici della Fiom o di Sel, sappiano capire chi sono i veri alleati e i veri avversari, oltre che i falsi amici.

Ciò non significa che si sia invertita la realtà del nostro paese, né che il “movimento dei movimenti” sceso in piazza il 19 sia in sé autosufficiente a portare a quell’inversione. L’assenza di soggetti politici capaci di interloquire positivamente con movimenti di questo tipo può alimentarne la spoliticizzazione o la deriva estremistica e movimentistica. La non chiarezza sul rapporto con il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori, una giustificata diffidenza nei confronti dei sindacati, che in qualche misura rischia di essere estesa anche alle aree e alle formazioni conflittuali del sindacalismo classista, rischia di alimentarne l’autoisolamento e il riproporsi di contrapposizioni stantie tra “garantiti” e “non”. Ma tutti questi problemi meglio saranno affrontati se nel vivo di una concreta mobilitazione di massa piuttosto che in una accademica discussione a tavolino.

Andrea Martini

venerdì 11 ottobre 2013

Giorgio Cremaschi a Carrara. Mercoledì 16 ottobre.


Il 18 e il 19 ottobre saremo in piazza a Roma con i lavoratori e i movimenti sociali, sostenendo lo sciopero generale del sindacalismo di base del 18 ottobre e partecipando alla manifestazione nazionale dei  movimenti per la casa, per la difesa del territorio e dei beni comuni e dei servizi pubblici, del 19 ottobre a Roma

Per preararci alle due giornate di mobilitazione e per presentare l'iniziativa politica Ross@, a cui i militanti di sinistra anticapitalista aderiscono, mercoledì 16 ottobre sarà a Carrara GIORGIO CREMASCHI, con appuntamento alle ore 21 presso la sede dell’ARCI in via Loris Giorgi n. 3 al primo piano.

Per informazioni sull'iniziativa e sui mezzi per raggiungere Roma per la manifestazione potete scrivere a massacarrara@anticapitalista.org

venerdì 4 ottobre 2013

Lampedusa, chi sono i colpevoli?

di Gippò Mukendi Ngandu (dal sito www.anticapitalista.org)

Si contano ancora i morti dell’immane tragedia di Lampedusa. Molto probabilmente saranno più di trecento. I dispersi sono 500. Si tratta di una strage di enorme proporzioni; una strage, annunciata. Negli ultimi anni, infatti, il Mediterraneo sta diventando, lungo i confini dell’Europa, un vero e proprio cimitero.

Migliaia sono le vittime che sprofondano nei nostri abissi. Spesso non hanno nomi. Sono donne, uomini, bambini che scappano dalla miseria di un continente, quello africano, in cui il capitalismo, ieri nella forma del colonialismo, oggi nella sua forma neoliberista e post-coloniale, si è manifestato nelle sua barbarie, producendo continuamente guerre, saccheggiando e distruggendo interi territori.

In queste ore dovremmo ricordare il debito che ha l’Italia nei confronti della Somalia e dell’Eritrea, i due paesi dai quali proveniva gran parte dei rifugiati.

Conosciamo, invece, i colpevoli. Essi risiedono all’interno delle istituzioni di questa Europa. Sono coloro che hanno progettato e costruito la “fortezza Europa”; coloro che finanziano costosi progetti securitari come Frontex, utili solo per finanziare le polizie dell’altra sponda, quelle che cercano di reprimere le rivoluzioni in corso.

I colpevoli occupano le principali istituzioni italiane. Sono coloro che in queste ore stanno versando le consuete lacrime di coccodrillo come il presidente Napolitano, che, allora ministro degli interni, introdusse nel 1997 in Italia la detenzione amministrativa suggerendo il reato di immigrazione clandestina, adottato poi dalla Bossi-Fini, la cui legge, attualmente in vigore, considera sporchi criminali persino coloro che prestano soccorso in mare ai naufraghi dei battelli della disperazione.

I colpevoli sono coloro che hanno inseguito i razzismi più beceri con l’obiettivo di dividere le lavoratrici e i lavoratori. I colpevoli sono coloro che assecondano e amministrano un sistema che in nome del profitto ammette la libera circolazione delle merci, dei servizi e delle imprese, impedisce con la forza alle persone di circolare liberamente e offre in questo modo ai padroni una forza lavoro a basso costo e ricattabile.

Del resto, come diceva a suo tempo Marx, “il criminale non produce solo il crimine, ma anche il diritto penale” che lo difende. E, in queste ore, mentre la destra più becera e razzista specula sull’immane tragedia, esponenti del governo si dicono pronti ad abrogare la Bossi-Fini, considerata inadeguata dalle istituzioni europee. Per fare cosa? Perseverare nella difesa del colpevole. Così si è espressa a caldo il commissario Ue per gli affari interni, Cecilia Malmstroem: occorre “raddoppiare gli sforzi per combattere i trafficanti che sfruttano la disperazione umana”; allo stesso modo ribattono i principali esponenti del centro sinistra/destra e del governo che puntano anche a maggiori aiuti per ottenere la “strumentazione più adeguata”, quella poliziesca ovviamente.

Eppure, tutti sanno, che è proprio grazie alle politiche repressive che migliaia di persone corrono ogni giorno, drammaticamente consapevoli, il rischio di morire pur di sfuggire alla fame e alla guerra. Ogni altro canale gli è precluso.

La risposta all’immane tragedia che imperversa nel Mediterraneo non può essere il controllo sempre più rafforzato delle frontiere, interne e esterne all’Unione Europea. Una sinistra, degna di questo nome, deve ribellarsi a queste leggi ingiuste e criminali; deve impegnarsi a ricostruire un vasto movimento per la libera circolazione alle frontiere e per più ampio il diritto all’asilo e per indicare senza remore i veri colpevoli.

Una sinistra degna di questo nome non può che essere internazionalista e riconoscere come sua unica frontiera, quella tra sfruttati e sfruttatori.

martedì 1 ottobre 2013

Il "nero" alle cave di Carrara

La vicenda nota come “il nero alle cave” che ha riempito le cronache locali di questi giorni, prospettando veri e propri profili di carattere criminale, non rappresenta altro che un evento annunciato.

Va da sé che il commercio di una materia prima che viene sottostimata già alla sua origine, truffando la comunità locale che ne è proprietaria, non può che generare lungo il suo corso ulteriori illegittimità, contravvenzioni, se non veri e propri crimini coerenti con il peccato originale da cui trae l’impronta.

A nostro avviso sembra però eccessiva la fiducia che, da più parti, viene riposta nell’effetto salvifico che questa indagine potrebbe avere sulla gestione del patrimonio marmifero e sulla principale economia locale.

A parte ogni considerazione sulla durata e sugli esiti delle indagini e dei successivi procedimenti giudiziari, è bene ricordare che difficilmente la giustizia sociale è nata dalle aule dei tribunali, da questi possiamo attenderci risposte secondo giustizia per i casi in esame e, al massimo, qualche scandalo o qualche terremoto che determinino un avvicendamento nei gruppi dominanti. 
 
Non di più, tangentopoli docet.

La vicenda però, dovrebbe innescare almeno un moto di ribellione ben più ampio di quello che da anni, motiva alcuni a contrastare lo scempio e la rapina di cui sono oggetto i nostri monti ed è vittima l’intera collettività.

Per tutto il primo decennio degli anni 2000 la nostra città ha visto diverse ondate di indignazione e anche movimenti organizzati che hanno determinato, ben più delle beghe interne al partito democratico, la chiusura non programmata delle esperienze amministrative di Conti e di Segnanini.

Questi movimenti, inoltre, hanno tenuto viva la fiaccola della proprietà collettiva delle cave e del marmo-bene comune ma non son riusciti ad invertire la tendenza, non sono riusciti a far sì che i principi sanciti dalla Corte Costituzionale e rivendicati dai carraresi almeno dal 1894 a tutela dei loro diritti espropriati dai padroni del marmo, avessero effettiva applicazione.

Ancora una volta è l’ora che tutti coloro, singole persone oppure organizzazioni e associazioni, che credono nelle ragioni di questa lotta secolare ma più che mai attuale, si uniscano per riprendere nelle proprie mani il destino dell’economia del marmo e della sopravvivenza di Carrara, non come quartiere suburbano dell’area di costa, ma come città nella quale valga la pena di vivere.

Sinistra Anticapitalista e i suoi militanti, come in passato, sono pronti a dare tutto il loro contributo per la costruzione di un movimento forte ed unitario che imponga l’indispensabile inversione di tendenza.