27 Settembre 2014
di Ildo Fusani (intervento al Seminario Nazionale di Sinistra Anticapitalista di Bellaria)
Secondo Plinio “Le montagne la natura le aveva fatte per sé come una sorta di scheletro che doveva consolidare le viscere della terra e nel contempo frenare l’impeto dei fiumi e frangere i flutti marini, nonché stabilizzare gli elementi più turbolenti con l’aiuto della loro solidissima materia. Noi invece tagliamo a pezzi e trasciniamo via, senza nessun altro scopo che i nostri piaceri, montagne che un tempo fu oggetto di meraviglia anche solo valicare.( ) E questo lavoro, o meglio queste sofferenze, per quale utilità o per quale piacere gli uomini se le sobbarcano, se non per stare su pavimenti di pietre variopinte? – come se questo piacere non lo togliesse il buio della notte, che occupa la metà della vita di ognuno”.
Nel corso di incontri o convegni organizzati da associazioni ambientaliste sul tema delle cave di marmo, questo richiamo che non vuol essere semplicemente un tributo ad un grande naturalista dell’epoca classica, ma anche offrire un augurio di cauto ottimismo, è stato utile per superare, attraverso una suggestione letteraria, diffidenze e steccati che la miglior esposizione programmatica non avrebbe consentito; quelle frasi stanno a testimoniare che da sempre, ci sono persone che sognano che il valore d’uso dei beni naturali e delle produzioni umane debba avere prevalenza sul piacere effimero e sul valore di scambio. Si tratta di partire da una suggestione per costruire un terreno di non semplice dialogo tra due approcci alla trasformazione sociale storicamente distanti tra loro, quello ambientalista e quello del marxismo rivoluzionario; l’ecosocialismo potrebbe rappresentare il trait d’union.
Sulle Alpi Apuane come generalmente sulle montagne di tutto il mondo, le proprietà collettive delle antiche comunità hanno resistito fino alle soglie della modernità e in diverse realtà fino ai giorni nostri, prima allo spossessamento e poi alla espropriazione da parte della proprietà privata.
Nel caso delle Apuane questo spossessamento si è determinato, partendo da Carrara, dal diciottesimo secolo, con la violenza propria che l’incipiente capitalismo usava sugli uomini e sulla natura nelle terre di cava e di miniera, ma non solo.
Questa violenza che ha soffocato, con particolare evidenza a Carrara, la precedente cultura rurale, quasi non lasciandone traccia e determinando una sorta di sradicamento culturale della popolazione, attraverso la rimozione dalla memoria della storia precedente, non è riuscita però a cancellare la memoria dell’antico diritto collettivo che, come un filo rosso, attraversa oltre due secoli.
Le proteste delle antiche collettività (vicinanze) nel “700, l’arrivo dei Francesi di Napoleone Bonaparte, i moti risorgimentali, il grande moto insurrezionale anarco-socialista del 1894, il sindacalismo anarchico, la resistenza e, infine, il paziente lavoro di alcuni come noi, hanno impedito che la memoria dell’antica proprietà collettiva andasse perduta e, periodicamente, azioni più o meno decise e coerenti di rivendica si sono manifestate durante un lungo periodo storico che dall’epoca moderna arriva alla contemporaneità; lo stesso fascismo nella sua versione più populista (Renato Ricci), ha dovuto fare i conti con questa memoria, riuscendo ad utilizzarne le pulsioni plebee e piccolo borghesi per i suoi scopi politici e per quelli personali dei suoi capi.
Per costruire un movimento e un programma di lotta per la riappropriazione pubblica della principale risorsa delle Apuane bisogna partire dal tener di conto dell’ impatto con la natura, con l’ambiente e con le collettività coinvolte, e dal misurarsi con questioni che se nella prospettiva necessitano l’abolizione del sistema capitalistico, nell’immediato impongono l’individuazione di obbiettivi intermedi che affrontino l’emergenza e lavorino, da subito, per un’alternativa di società.
In questo senso la pubblicizzazione della risorsa-marmo non può essere disgiunta da un piano di sviluppo ecologicamente compatibile e democraticamente determinato.
In questo senso dovrebbe essere orientato il potere regolamentare che leggi speciali, attualmente vigenti, già conferiscono ai comuni di Massa e di Carrara; per questo rivendichiamo un “Piano per l’Ambiente, il Marmo e la Montagna” con l’attivazione di un processo partecipativo e un controllo dei lavoratori e dei cittadini.
Un intervento pubblico, massiccio dei Comuni e della Regione, orientato socialmente e gestito attraverso un’azienda pubblica, può costituire una risposta possibile alla crisi e, attraverso una razionalizzazione delle escavazioni, può consentire di ridurre la quantità di materiale escavato, di dismettere progressivamente la lavorazione nelle aree con maggior impatto ambientale, di lavorare sul territorio il materiale escavato creando occupazione, cultura e differenti opportunità di lavoro e di attività.
Questo processo non può che avvenire, se saremo in grado di rivendicarlo e quindi di imporlo, nel pieno rispetto di compatibilità ecologiche rigidissime a partire dal controllo e dal progressivo contenimento del rischio idraulico, alla sicurezza delle condizioni di lavoro e alla tutela dell’ambiente e dei “paesaggi”.
Questa fase, però, vede l’azione legislativa della Regione Toscana che liquida gli usi e i demani civici non ancora formalmente riconosciuti, conferma che il Parco delle Apuane non è un parco naturale ma un parco delle attività estrattive, fa slittare di altri venti anni qualsiasi razionalizzazione nelle cave di Massa e di Carrara e consente la prosecuzione della rendita parassitaria esistente; si tratta di un’offensiva che passa sull’ambiente e sulle proprietà collettive per conto della rendita e del capitale cui si oppone una variegata composizione di forze che, pur trovando significativi momenti di parziale unità di azione, resta divisa tra visioni e prospettive tra loro molto distanti.
Vale la pena di accennarvi almeno sommariamente.
Esiste un forte movimento di opinione, diversamente articolato (la sigla più nota è “Salviamo le Apuane”), con una caratterizzazione fortemente “fondamentalista” in materia di escavazione, secondo questo movimento tutte le cave o quasi, andrebbero chiuse quanto prima, per favorire un modello economico fondato principalmente sull’agricoltura e l’allevamento naturale, la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali e quindi un’attività turistica sostenibile; questo movimento, molto trasversale, è fortemente impegnato in campagne di denuncia e nel dar vita ad eventi di buon impatto mediatico.
Le associazioni ambientaliste tradizionali, soprattutto Legambiente e Italia Nostra di Carrara, fino ad oggi sostenute dai rispettivi livelli regionali, cui va aggiunta L’Arci e anche altre organizzazioni locali, conducono con coerenza una battaglia contro gli effetti più impattanti dell’industria marmifera restando, non senza criticità, nell’ambito delle finalità di quelle associazioni e dell’appartenenza alle stesse.
Le uniche due forze politiche realmente impegnate su questo fronte e interne al movimento sono il Movimento 5Stelle e Sinistra Anticapitalista, come generalmente riconosciuto dalle associazioni e dagli attivisti di questo variegata opposizione; va rilevato che alcuni esponenti dell’M5Stelle partecipano come attivisti alle diverse campagne di movimento, mentre come organizzazione i 5Stelle mantengono una loro spiccata identità, forti dei loro numeri e del loro peso istituzionale.
A Carrara va segnalata anche l’attività della consigliera della Lista Carrara-Bene Comune collegata all’IDV, e attiva nell’opposizione alle politiche del centro sinistra cittadino.
Per quanto ci riguarda i nostri compagni sono stati storicamente impegnati sia sul fronte del marmo che su quello della tutela ambientale e la nostra organizzazione non trova difficoltà ad agire, nei limiti del nostro peso e delle nostre capacità, sia come tale che attraverso l’impegno di singoli compagni nel movimento; abbiamo cercato momenti di convergenza, quando possibili, un po’ con tutti anche se un rapporto, ormai abbastanza organico, si è realizzato soprattutto con Legambiente, Italia Nostra e Arci.
Il tratto comune di questo settore di movimento è dato dal comune impegno nelle lotte per la piena riaffermazione della proprietà pubblica, per la riduzione delle aree di escavazione e dei materiali escavati e per la valorizzazione della risorsa, consapevoli del fatto che la transizione dall’attuale modello produttivo, fondato sulla rendita e sulla rapina, ad un corretto utilizzo della risorsa non può che passare attraverso un non indolore processo di riconversione ecologica dell’economia locale.
Naturalmente l’assenza di un soggetto politico e di un programma di obiettivi intermedi all’altezza della gravità della crisi, fa sì che queste convergenze non riescano a dare e ad avere una prospettiva che vada al di là del carattere locale e settoriale.
Se, nonostante gli sforzi di qualche esponente locale del PRC e di SEL che cerca di amministrare il suo consenso elettorale, la credibilità di queste organizzazioni , grazie alla loro piena subalternità al PD, è giunta veramente ai minimi termini, a destra invece, Fratelli d’Italia, attraverso i suoi rappresentanti istituzionali, si sta costruendo una certa credibilità non solo negli ambienti più tradizionalmente vicini dell’ambientalismo, ma anche tra i meno avveduti politicamente, grazie alle ambiguità e ai nodi non risolti nell’ambito del variegato movimento ambientalista delle Apuane.
Il nodo dolente tuttavia, resta quello dei lavoratori del marmo che dovrebbero essere gli attori del processo di trasformazione e invece, restano ingabbiati nel settore dell’escavazione, in una sorta di complicità con il padronato, oppure inerti nel settore della trasformazione, dove peraltro, sarebbero più evidenti i vantaggi di una riconversione ecologica della filiera produttiva.
Eppure spesso, gli stessi lavoratori esprimono, in quanto cittadini, dissenso e rabbia nei confronti degli effetti più devastanti ed iniqui dello sfruttamento intensivo dei giacimenti marmiferi.
Le responsabilità dei sindacati confederali per questo stato di cose non trovano definizione adeguata!
Il coinvolgimento di settori di lavoratori e del sindacalismo conflittuale rappresenta un obbiettivo politico da conseguire nei prossimi mesi, anche attraverso una campagna di agitazione che colleghi la lotta ecologista e per la riappropriazione del bene comune, alla lotta per il controllo delle entrate comunali derivanti dal marmo che devono e possono aumentare ma soprattutto, devono essere destinate ad interventi sociali e di prevenzione.
Su questo terreno andranno ricercate, con pazienza, intese intersindacali e intercategoriali; solo dalla lotta e dalla discesa in campo di una parte almeno dei lavoratori, l’ecosocialismo potrà trarre l’energia e gli argomenti più convincenti per il superamento, all’interno del movimento, delle illusioni del civismo e delle suggestioni della decrescita felice; si tratta di orientare un processo per la nascita di una nuova soggettività che potrebbe contrastare l’offensiva del capitale e della rendita contro il lavoro, la collettività locale e la natura, oppure di restare una corrente del dissenso che non riesce a superare la soglia della denuncia e della testimonianza.