martedì 1 ottobre 2013

Il "nero" alle cave di Carrara

La vicenda nota come “il nero alle cave” che ha riempito le cronache locali di questi giorni, prospettando veri e propri profili di carattere criminale, non rappresenta altro che un evento annunciato.

Va da sé che il commercio di una materia prima che viene sottostimata già alla sua origine, truffando la comunità locale che ne è proprietaria, non può che generare lungo il suo corso ulteriori illegittimità, contravvenzioni, se non veri e propri crimini coerenti con il peccato originale da cui trae l’impronta.

A nostro avviso sembra però eccessiva la fiducia che, da più parti, viene riposta nell’effetto salvifico che questa indagine potrebbe avere sulla gestione del patrimonio marmifero e sulla principale economia locale.

A parte ogni considerazione sulla durata e sugli esiti delle indagini e dei successivi procedimenti giudiziari, è bene ricordare che difficilmente la giustizia sociale è nata dalle aule dei tribunali, da questi possiamo attenderci risposte secondo giustizia per i casi in esame e, al massimo, qualche scandalo o qualche terremoto che determinino un avvicendamento nei gruppi dominanti. 
 
Non di più, tangentopoli docet.

La vicenda però, dovrebbe innescare almeno un moto di ribellione ben più ampio di quello che da anni, motiva alcuni a contrastare lo scempio e la rapina di cui sono oggetto i nostri monti ed è vittima l’intera collettività.

Per tutto il primo decennio degli anni 2000 la nostra città ha visto diverse ondate di indignazione e anche movimenti organizzati che hanno determinato, ben più delle beghe interne al partito democratico, la chiusura non programmata delle esperienze amministrative di Conti e di Segnanini.

Questi movimenti, inoltre, hanno tenuto viva la fiaccola della proprietà collettiva delle cave e del marmo-bene comune ma non son riusciti ad invertire la tendenza, non sono riusciti a far sì che i principi sanciti dalla Corte Costituzionale e rivendicati dai carraresi almeno dal 1894 a tutela dei loro diritti espropriati dai padroni del marmo, avessero effettiva applicazione.

Ancora una volta è l’ora che tutti coloro, singole persone oppure organizzazioni e associazioni, che credono nelle ragioni di questa lotta secolare ma più che mai attuale, si uniscano per riprendere nelle proprie mani il destino dell’economia del marmo e della sopravvivenza di Carrara, non come quartiere suburbano dell’area di costa, ma come città nella quale valga la pena di vivere.

Sinistra Anticapitalista e i suoi militanti, come in passato, sono pronti a dare tutto il loro contributo per la costruzione di un movimento forte ed unitario che imponga l’indispensabile inversione di tendenza.

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