La
vicenda nota come “il nero alle cave” che ha riempito le cronache
locali di questi giorni, prospettando veri e propri profili di
carattere criminale, non rappresenta altro che un evento annunciato.
Va
da sé che il commercio di una materia prima che viene sottostimata
già alla sua origine, truffando la comunità locale che ne è
proprietaria, non può che generare lungo il suo corso ulteriori
illegittimità, contravvenzioni, se non veri e propri crimini
coerenti con il peccato originale da cui trae l’impronta.
A
nostro avviso sembra però eccessiva la fiducia che, da più parti,
viene riposta nell’effetto salvifico che questa indagine potrebbe
avere sulla gestione del patrimonio marmifero e sulla principale
economia locale.
A
parte ogni considerazione sulla durata e sugli esiti delle indagini
e dei successivi procedimenti giudiziari, è bene ricordare che
difficilmente la giustizia sociale è nata dalle aule dei tribunali,
da questi possiamo attenderci risposte secondo giustizia per i casi
in esame e, al massimo, qualche scandalo o qualche terremoto che
determinino un avvicendamento nei gruppi dominanti.
Non
di più, tangentopoli docet.
La
vicenda però, dovrebbe innescare almeno un moto di ribellione ben
più ampio di quello che da anni, motiva alcuni a contrastare lo
scempio e la rapina di cui sono oggetto i nostri monti ed è vittima
l’intera collettività.
Per
tutto il primo decennio degli anni 2000 la nostra città ha visto
diverse ondate di indignazione e anche movimenti organizzati che
hanno determinato, ben più delle beghe interne al partito
democratico, la chiusura non programmata delle esperienze
amministrative di Conti e di Segnanini.
Questi
movimenti, inoltre, hanno tenuto viva la fiaccola della proprietà
collettiva delle cave e del marmo-bene comune ma non son riusciti ad
invertire la tendenza, non sono riusciti a far sì che i principi
sanciti dalla Corte Costituzionale e rivendicati dai carraresi almeno
dal 1894 a tutela dei loro diritti espropriati dai padroni del marmo,
avessero effettiva applicazione.
Ancora
una volta è l’ora che tutti coloro, singole persone oppure
organizzazioni e associazioni, che credono nelle ragioni di questa
lotta secolare ma più che mai attuale, si uniscano per riprendere
nelle proprie mani il destino dell’economia del marmo e della
sopravvivenza di Carrara, non come quartiere suburbano dell’area di
costa, ma come città nella quale valga la pena di vivere.
Sinistra
Anticapitalista e i suoi militanti, come in passato, sono pronti a
dare tutto il loro contributo per la costruzione di un movimento
forte ed unitario che imponga l’indispensabile inversione di
tendenza.
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